C’è anche il corpo di Selene Pagliarello, l’infermiera 30enne,
al nono mese di gravidanza, e del marito Giuseppe Carmina.
Tra i quattro corpi senza vita estratti questa mattina dalle macerie a Ravanusa.
I due corpi erano al terzo piano
del palazzo crollato in via Trilussa dopo l’esplosione.
Trovato anche il corpo del suocero della donna, Angelo Carmina.
Un’intera famiglia distrutta, le storie di chi non ce l’ha fatta
C’è una foto del 10 aprile: Selene ha lo sguardo sognante, il vestito bianco e un bouquet di fiori gialli in mano, il viso appoggiato sulla spalla del suo Giuseppe.
Sorride felice nel giorno del suo matrimonio.
Otto mesi dopo quel sorriso non c’è più, sepolto sotto le macerie di via Trilussa a Ravanusa, assieme a quello di Giuseppe, Pietro, Enza, Carmela, Gioachina, Calogero, Angelo e dell’altro Giuseppe, il più vecchio, quasi novant’anni.
Sepolto assieme al sorriso che doveva ancora esplodere, quello di suo figlio, che avrebbe iniziato a conoscere il mondo tra una settimana.
Che non ha ancora un nome e non figurerà mai nell’elenco ufficiale dei morti e dei dispersi, ma è di fatto la decima vittima di questa tragedia siciliana, salvo un miracolo che chi scava da ore ancora aspetta e anzi è proprio quella speranza che gli da la forza di andare avanti.
Selene Pagliarello e Giuseppe Carmina, lei infermiera del pronto soccorso, dell’ospedale San Giovanni di Dio ad Agrigento lui operaio, neanche dovevano esserci in quell’appartamento.
Erano passati a salutare i genitori di lui, Angelo Carmina, 72 anni, e Maria Crescenza Zagarrio, 69, che tutti in paese chiamavano Enza.
Angelo è ancora sotto le macerie mentre Enza l’hanno tirata fuori senza vita da quel groviglio di cemento, mattoni e pezzi di ferro.
Un saluto veloce prima di andare a cena fuori, in un sabato come tanti altri.
Forse l’ultimo prima di partorire,
visto che i nove mesi sarebbero scaduti la settimana prossima.
Qualcuno, racconta il capo della protezione civile siciliana Salvo Codina, ha ipotizzato che Selene fosse in strada per una telefonata quando tutto è esploso.
E allora restano i suoi pensieri e le sue foto.
Il post è dell’11 settembre del 2020 e racconta come il Covid abbia solo rimandato il suo sogno.
Sorrideva anche Pietro Carmina, nelle foto con gli occhiali inforcati sul naso.
Era stato un buon professore, a sentire i suoi compaesani.
Aveva insegnato storia e filosofia al liceo classico Ugo Foscolo di Canicattì, poi era stato anche preside prima di andare in pensione.
È scampato al Covid, anche, ma non all’esplosione: il suo corpo è con quello di Enza e quello di Gioachina Calogera Minacori all’obitorio.
Lui viveva al civico 69, le due donne al 65; entrambe le palazzine sono state devastate dalla furia dell’onda d’urto e delle fiamme.
Non c’è ancora traccia, invece, della moglie di Pietro, Carmela Sciabetta, 60 anni.
In Comune, dove era assistente sociale, ne parlano già al passato e con le lacrime agli occhi. “Aveva un vocione, parlava sempre ad alta voce. Ma era una persona allegra, serena, solare”.
Non si trovano neanche l’altro Giuseppe Carmina, 88 anni, l’unico che non abitava in via Trilussa ma in via Galilei, la strada perpendicolare all’epicentro dell’esplosione dove ci sono alcune case danneggiate, e Calogero Carmina, 59 anni, marito di Gioachina.