Il 6 dicembre 1994 muore l’Attore per eccellenza: Gian Maria Volonté.
Tra i più grandi interpreti della scena mondiale.
Muore sul set del film “Lo sguardo di Ulisse” di Theo Angelopoulos.
Versatile, incisivo, magnetico, dallo sguardo fiero e ribelle.
Con lui, il lavoro attoriale non resta confinato in un ruolo. Ma si eleva, pur nella più totale concretezza.
Con lui, l’attore incarna perfettamente i meccanismi e le dinamiche sociali, facendosi interprete del proprio tempo.
Gian Maria Volonté nasce a Milano il 9 aprile del 1933. Scopre la sua Vocazione Attoriale, lavorando – a soli 16 anni – come segretario della Compagnia Teatrale itinerante “I carri di Tespi”. Dopo il diploma all’Accademia d’Arte Drammatica nel 1957, interpreta diversi ruoli in Teatro, per la televisione e per il Cinema.
Costruisce la sua carriera con eguale cura sia nello scegliersi le collaborazioni che nel rifiutarle.
A conferma della tesi per la quale sia il coraggio di alcuni “no” a fare una differenza e a delineare una certa identità.
Volonté prende parte a cinquantasei pellicole per il grande schermo, tra il 1960 e il 1993.
Alcuni dei suoi film sono vincitori dei principali Premi Cinematografici Internazionali.
Per le sue mirabili interpretazioni, si aggiudica due David di Donatello, tre Nastri d’argento e cinque Globi d’oro.
Inoltre, nel 1983 vince il Prix d’interprétation masculine a Cannes. Nel 1987, l’Orso d’argento a Berlino. Nel 1990, il Premio speciale della giuria dell’European Film Awards. Infine, nel 1991 riceve a Venezia il Leone d’oro alla carriera.
La sua indistinguibile personalità attoriale si forma su un’arte che racconta non solo il proprio tempo, ma anche le spinte sociali in direzione di un cambiamento. Partecipa a opere dalle quali emerge il tema dell’utopia rivoluzionaria.
Prende, inoltre, attivamente parte ad alcune battaglie sociali e democratiche degli anni ’60 e ’70, che segnano la Storia italiana contemporanea.
Gian Maria Volonté, arrestato durante una manifestazione in solidarietà con i lavoratori della Coca Cola – in sciopero da due mesi. Anno 1971.Negli anni successivi, senza rinunciare ai suoi ideali, continua a dar vita a personaggi intensi e complessi.
La sua arte recitativa si accompagna con una costante tensione morale e una spinta ideologica, che contribuiscono a riempire di senso sia il suo lavoro che il contenuto stesso dell’opera.
In tutte le sue interpretazioni, Volonté attua un peculiare metodo di lavoro.
Il suo è infatti un lavoro costante, con uno studio dettagliato e una ricerca meticolosa per prepararsi al ruolo e scavare nel personaggio. La sua è una concezione moderna e originale dell’attore. Una concezione più cosciente e responsabile.
L’Attore è così in grado di dare a ogni opera non solo l’apporto di una tecnica recitativa e di un virtuosismo, ma anche un “contributo linguistico” e una “partecipazione critica” alle figure cui dà vita sullo schermo. Materiale prezioso da mettere a disposizione di un regista.
Un contributo che spesso fa dell’Attore anche un co-autore di quei film nei quali è protagonista.
Riccardo Cucciolla e Gian Maria Volonté in una scena del film “Sacco e Vanzetti”. Anno 1971.«Non esiste una tecnica unica e precisa. Si può interpretare un personaggio in totale immersione, ma può avvenire anche il contrario.
Diderot sostiene che l’attore, mentre comunica allo spettatore una grande emozione – esplorando i territori inquietanti della tragedia -, magari pensa alla trattoria dove andrà a mangiare dopo lo spettacolo».
Così, un ironico Gian Maria Volonté.
Perché la grandezza si manifesta quasi sempre con una squisita semplicità.Come non ricordare poi – tra l’altro – la sua incisiva presenza e impressionante interpretazione in “Sacco e Vanzetti”… Film del 1971 – con la regia di Giuliano Montaldo – sulla vicenda dei due anarchici italiani, emigrati negli Stati Uniti e ingiustamente condannati a morte.
Film e interpretazioni di sicura grande ispirazione per molti attori, che hanno in lui un modello esemplare.
«Gian Maria è stato la spinta fondamentale del film.
Viveva il suo personaggio il giorno e la notte – afferma, il regista, Montaldo -.
Il suo rapporto con Cucciolla-attore era protettivo, così come lo era nella finzione. E poi scriveva e riscriveva – almeno tre volte – le sue battute, su quaderni neri scolastici».Un metodo attoriale che Felice Laudadio (giornalista, scrittore, sceneggiatore, direttore artistico, produttore e critico cinematografico) ben ricorda, avendo conosciuto e frequentato Volonté:
«Per ogni ruolo, si prendeva due, tre mesi di tempo, di concentrazione assoluta.
Poi trascriveva minuziosamente su un primo quaderno di scuola la sceneggiatura.
Poi su un secondo le sue battute, cambiando le parole e trovando quelle più adatte al personaggio e perfino alla sua fisiognomica.
Infine il terzo quaderno riportava le battute nella versione finale.Ovviamente questo suo perfezionismo, che era un valore aggiunto, spesso creava problemi e scontri con i registi.
Ne sanno qualcosa, Elio Petri e Gianni Amelio che l’hanno diretto».L’attore per Volonté è dunque non solo interprete, ma anche autore.
«Ha cambiato la concezione sociale dell’attore, impegnandosi in prima persona nella battaglia voce/volto, molto partecipata all’epoca – sottolinea Franco Montini (giornalista, critico e presidente del Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani) -, opponendosi apertamente e promuovendo lo sciopero degli attori contro la consuetudine di doppiare molti interpreti.
Come, del resto, accade anche a lui nei due western di Leone».Emerge quindi, la figura di un Volonté – intellettuale impegnato.
Ancora, Laudadio ricorda:
«Si presentò al quotidiano l’Unità, dove ricoprivo l’incarico di capo della redazione Cultura e Spettacoli, chiedendomi in modo deciso di pubblicare un comunicato sulla questione voce/volto.Nonostante il mio avvertimento che la cosa avrebbe provocato probabilmente una dura reazione da parte dei produttori.
E infatti Gian Maria viene messo nella lista nera. Ed è allora che comincia una carriera internazionale».
Il coraggio di quelle scelte che poi ripagano, malgrado tutto.
La grandezza artistica di Volonté resta nella sua abilità mimetica, nel riuscire a essere tutto e il contrario di tutto.
«Il suo modo di recitare coincide con la costruzione di un’identità che ha una vita autonoma.– Spiega lo psicoterapeuta Giovanni Savastano, autore del libro “Gian Maria Volontè. Recito dunque sono” –
Egli non si cala nel personaggio: lo diventa!
“Io non esco e neppure entro nel personaggio” come lui stesso ci suggerisce.»
Il risultato di questo meraviglioso ‘Volonté Studio’ è – ogni volta – un viaggio tridimensionale all’interno del personaggio.
Per metabolizzarlo, farlo crescere, maturare e per farlo proprio… anche in modo squisitamente ossessivo.Quello di Gian Maria Volonté è realmente un punto di vista stra-ordinario, che rivoluziona anche un modo di concepire il proprio mestiere.
Fonte di continua ispirazione è infatti quell’urgenza del vivere l’Arte e la Vocazione Attoriale come una funzione sociale, assolutamente vitale ed estremamente necessaria per un’intera comunità.
«Io cerco di fare film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società come la nostra, che rispondano a una certa ricerca di un brandello di Verità.
Per me, c’è la necessità di intendere il Cinema come un mezzo di comunicazione di massa, così come il Teatro e la televisione.ESSERE UN ATTORE È UNA QUESTIONE DI SCELTA CHE SI PONE INNANZITUTTO A LIVELLO ESISTENZIALE: o si esprimono le strutture conservatrici della società e ci si accontenta di essere un robot nelle mani del potere, oppure ci si rivolge verso le componenti progressive di questa società…
per tentare di stabilire un RAPPORTO RIVOLUZIONARIO FRA L’ARTE E LA VITA.»[“Un attore contro. Gian Maria Volonté. I film e le testimonianze“, a cura di Franco Montini e Piero Spila, 1984.]
https://twitter.com/RaiCultura/status/1335471534031294469?s=20