Romain Grosjean sta bene e cercherà di tornare in pista per l’epilogo della stagione. Sarebbe anche la sua ultima apparizione in Formula Uno, prima di ritirarsi in Svizzera e iniziare una nuova vita come chef.
Il pilota svizzero-francese della Haas, può sperare di concludere in bellezza dodici anni nell’élite mondiale, dopo lo spaventoso incidente di domenica pomeriggio in Bahrain.
Questo lo deve a una serie di fattori, tra i quali l’Halo. La protezione frontale introdotta a partire dal 2018 e contestata da molti piloti, tra cui lo stesso Grosjean gli ha salvato la vita.
Lui proprio che definì un giorno triste per la F1 quello della sua adozione. Domenica ha ammesso l’errore e benedetto la caparbietà di Jean Todt e della FIA, sempre più attiva negli ultimi anni sul fronte della sicurezza.
Non soltanto l’Halo è stato determinante per l’incolumità del pilota. Anche la cellula di sicurezza in carbonio e altri materiali compositi dell’abitacolo lo hanno protetto. Così come il collare Hans che “ancora” il casco del pilota al rollbar.
Gli ha evitato danni alle vertebre cervicali. Probabilmente proprio il collare Hans ha impedito che perdesse i sensi dopo l’impatto contro il guardrail a 220 kmh, e gli desse la forza di uscire dalla palla di fuoco.
Anche l’abbigliamento, tuta, sottotuta, guanti, sottocasco e calze, realizzato con materiali ignifughi ha consentito a Romain di cavarsela con un grande spavento e poche ustioni.
Determinante è stata anche la prontezza di tutti gli addetti alla sicurezza del circuito. E il fatto che Romain, sempre cosciente, è riuscito in pochissimi secondi a sganciare cinture, casco, volante e saltar fuori dall’abitacolo, seppur con una scarpa sola.
Questa volta tutto è andato bene e si torna a parlare di sicurezza e protezioni. Anche se il rischio zero è impossibile da raggiungere nel Motorsport. Ne sono consapevoli per primi proprio i piloti.
Ne abbiamo parlato con Alessandro Brigatti, uno dei due italiani in lotta per aggiudicarsi il titolo Euro Series Nascar che si deciderà a Valencia nelle quattro gare finali della stagione, a partire da giovedì prossimo.
Alessandro arriva dai kart, come Grosjean, ed è iscritto al primo anno di ingegneria aeronautica del Polimi. Per l’università milanese è anche uno dei piloti ufficiali del team Dynamis PRC nel campionato internazionale universitario, questa volta al volante di una monoposto.
“L’urto è stato davvero impressionante. Quello che non capisco è come si sia potuta spezzare la macchina all’altezza del serbatoio. Anche se c’è un limite fisico dei materiali e, ripeto, l’impatto è stato terrificante.
Bisognerebbe studiare soluzioni per impedire che la monoposto si spezzi proprio lì, perché il fuoco è il pericolo maggiore. Per fortuna in tutte le categorie dell’automobilismo sono obbligatori l’abbigliamento ignifugo e l’Hans.
Credo che senza quello Grosjean non si sarebbe salvato”. Da compagno di squadra di Jacques Villeneuve, non ha mai affrontato con lui l’argomento sicurezza, tasto molto delicato per l’ex pilota di formula uno canadese.
“Molte volte tra piloti si evita l’argomento – prosegue – Jacques non ne ha mai parlato con me. E non ha mai accennato neppure all’incidente di suo padre, e viene spontaneo fare un paragone rispetto a quei tempi.
Per dare un’idea dell’evoluzione dei materiali, sono convinto che con le macchine attuali, in circostanze simili a quelle che sono costate la vita a Gilles nel 1982 a Zolder, oggi un pilota ne uscirebbe quasi illeso.
Si può ancora migliorare – conclude – ma sul fronte sicurezza sono stati fatti passi da gigante. Fino a pochi anni fa un incidente simile a quello di Grosjean si sarebbe concluso tragicamente”.
Andrea Fontana