Federica Gili è la vincitrice del talent The Coach. L’Intervista

8 Giugno 2021 - 15:13

Federica Gili è la vincitrice del talent The Coach. L’Intervista

Venerdì 4 giugno, in prima serata su 7Gold, si è conclusa la terza edizione di The Coach. Oltre al cantante Siba, nell’albo dei vincitori è entrata la coach Federica Gili, che ha ripercorso la sua esperienza nel programma, condotto da Agata Reale, in questa intervista. Ecco che cosa ci ha raccontato.

Federica, parliamo della sua esperienza a The Coach. Come ci sei arrivata? Lo conoscevi già?

“No, non conoscevo The Coach. Ci sono arrivata tramite una mia allieva, da sempre convinta che debba necessariamente fare delle cose più collegate ai social. Un giorno, quando è venuta a lezione, mi ha infatti comunicato che mi aveva iscritto ai casting di un talent. A primo impatto le ho chiesto se fosse impazzita, proprio perché sapeva che non credevo a nulla che avesse a che fare col settore televisivo. Faccio questo mestiere da tanti anni e, onestamente, non davo fiducia a nulla di ciò che riguardasse la ribalta, la televisione. Lei ha insistito, dicendomi che ormai mi aveva iscritto e che, presto o tardi, mi avrebbero chiamato per le selezioni. A quel punto lì, anche se non era stata una mia scelta personale, mi sono detta di rischiare, certa che tanto non mi avrebbero telefonato davvero. E invece non è andata esattamente così. Mi hanno chiamato, ho partecipato, sono riuscita a portare anche qualche allievo in modo tale da poterla condividere con chi faceva il percorso didattico con me. Ed è incominciata questa avventura”.

Un’avventura che è andata più che bene, visto che hai trionfato tra i coach. Come ti sei trovata all’interno del programma? Ad esempio, con la conduttrice Agata Reale.

“Ho avuto un istinto subito molto forte nei confronti di Agata Reale. Non ho più vent’anni; si può dire che sono una donna di mezza età. Mi piacciono dunque le persone con una forte personalità. In Agata ho riconosciuto questo tipo di guida. Ho apprezzato la sua grande professionalità e sensibilità, che sono due doti che non sono sempre così facili da avere in contemporanea, soprattutto se reali e non costruite come nel suo caso. Il mio percorso a The Coach è stato più empatico ed emotivo, che non concreto e verbalizzato. Nella vita faccio il coach in generale. Ho una scuola, mi occupo di coaching; prima mi occupavo di formazione del personale e scrivo progetti per le scuole. Sono abituata a lavorare in team, motivo per cui volevo fare il vocal coach anche lì. Mi sono occupata della formazione dei ragazzi in toto. E secondo me è stato questo che ha premiato”.

E con Luca Garavelli e Marco Zarotti, i produttori di The Coach?

“Marco l’ho conosciuto al telefono tipo un mese fa. Sapevo della sua esistenza, chiaramente, anche perché è pure il regista, elemento fondamentale di realizzazione del programma, ma non avevo mai avuto modo di scambiarci mezza parola. Luca, invece, è brioso, giustamente severo in alcune cose, sennò non puoi arrivare veramente all’obiettivo. L’ho conosciuto di più perché era lui che comunicava a noi coach cosa sarebbe successo in ogni step, comprese le sorprese dell’ultimo momento. Ho legato subito con Luca, così come con tutti. Non sono mai entrata in conflitto con nessuno. C’erano poi Fabiana  e Fabrizio, che gestivano tutte le persone che facevano parte del programma”.

Che tipo di coach sei stata?

“Nelle interviste iniziali ho detto che cosa avrei fatto e così è stato per tutto il mio percorso. Non sono capace a creare personaggi. Ho sempre fatto me stessa. Per questo, mi sono occupata della crescita dei ragazzi. Ho sofferto molto nel vederne uscire alcuni, perché secondo me alcuni meccanismi nei reality e nei talent sono forti sul livello empatico ed emotivo perché ti obbligano a vedere andare via delle persone con cui vorresti continuare. Ho patito non poter portare avanti fino a buona parte del percorso persone con cui ho costruito delle cose. Avendo fatto il coach, li ho seguiti anche nella parte della formazione, dei brani e così via. Per me è stato un po’ più faticoso rispetto ad altri che, come si è capito in più occasioni, non hanno interagito così tanto con i ragazzi. Mi sono occupata di loro e, in parte, delle diatribe tra le due compagne di team”.

Approfondiamo meglio quest’ultimo aspetto.

“Abbiamo avuto una primissima parte meravigliosa di formazione, mentre eravamo ancora ognuna nella propria città e sentivamo i ragazzi on line. Quando ci siamo trovati nel programma Roberta Della Volpe ed Eleonora Lari sono entrate molto in competizione. La cosa ha alterato il sistema team. Ho fatto il pacere per un po’, anche se dopo mi sono stufata. Roberta è entrata con me nella fase di costruzione ed ho interagito e legato di più, anche perché abbiamo avuto modo di conoscerci già dalla fase Academy. Quando ci siamo trovate, in trasmissione, Roberta ed Eleonora hanno avuto da ridere in più occasioni. Per un po’ ho cercato di mediare, ma poi ho smesso occupandomi soltanto di quello che doveva essere il mio ruolo nel programma. Il caso ha voluto che uscisse Roberta e mi ritrovassi con Eleonora a fare il resto del percorso. Ho dunque continuato a lavorare in team. Le scelte venivano fatte di comune accordo con Eleonora. Non ho mai voluto cambiare questo, né cercato di primeggiare. Non mi appartiene. Caratterialmente sono sempre partita dal presupposto che chi ha già una sua linea, una sua personalità e tanti anni di esperienza di insegnamento, in qualche modo, vive questa realtà come un modo per crescere di più nel suo lavoro. L’ho vissuta così”.

Quindi, dopo l’eliminazione di Roberta, tu ed Eleonora avete trovato una quadra?

“Sì. Ho un carattere completamente opposto a quello di Eleonora. Quando mi sono trovata da sola con lei, sono sincera, ho avuto un attimo di smarrimento. Ci trovavamo con attori, cantanti e ballerini. Sono diplomata in teatro, motivo per cui potevo dare consigli ai primi, mentre la danza l’ho fatta dagli zero ai 18 anni. Erano passati secoli. Mi sentivo in difetto nel dover aiutare i ballerini. Lì il mio lavoro è stato più da life coaching, motivazionale. Con gli altri, è stato più pratico. Fino all’una / due di notte avevo gente con la quale decidevamo le cose, definivamo come strutturare i brani e tutto il resto. Non mi sono risparmiata, insomma”.

Anche perché a The Coach trascorrete intere giornate…

“Esatto. Mollavo il telefonino che è un segno forte, visto che per noi ormai è un pezzo di vita. Lo davo a Fabiana alle 8.00 e lo riprendevo alle 23.30. Mi staccavo totalmente dalla vita, al fine di dedicarmi a The Coach, e poi riprendevo con le mie cose di lavoro. Il programma ti fa entrare in un tunnel, dove sai che uscirai dopo molto tempo. E’ una sorta di ‘galera costruttiva’, per dare l’idea di quel che è in modo affettivo”.

A proposito della tua passione per l’arte, che hai trasformato in una professione. Quando è nata?

“La mia passione per l’arte è nata, più o meno, dalla culla. A 11 scrivevo, a 14 ho iniziato a suonare, salvo scoprire che non era quello che volevo fare. Avrei voluto studiare l’artistico, all’Accademia di Arte Drammatica, ma poi ho fatto lo scientifico e Scienze della Comunicazione. Ho iniziato a studiare canto e teatro. Anche danza, fin da piccolissima. Ancora oggi studio, per me non esiste disciplina al mondo che abbia una fine a livello formativo. Sono affascinata da una serie di cose, motivo per il quale per me la voce è stata una missione. Mi sono occupata e mi occupo della voce sia a livello di canto, che a livello di comunicazione, di efficacia comunicativa, di teatro, canto yoga, canto pilates. Ho unito la disciplina vocale alla qualunque e ho studiato e studio ancora oggi con tutto uno staff di vocologia artistica e di docenti che lavorano a Bologna, Ravenna. Li porto a scuola da me perché ho interesse che i miei allievi abbiano confronti con docenti diversi da me, giustamente. Crescere non vuol dire chiudere l’allievo a riccio nel tuo gusto e non permettergli di mettere il naso fuori, cosa che fanno più o meno tutti. Per me crescere vuol dire che uno deve andare a sperimentare altro. La passione ce l’ho da sempre: scrivo poesie, testi di canzoni, canto. Ho delle band. Non sono partita dal jazz; ho fatto musica nera per tanti anni perché è la mia passione. Mi sono diplomata da Mogol. Ho fatto quasi tutti quelli che sono gli stage esistenti: vocalità estrema, logopedia e teatro legato al canto. Insomma, ho un buon bagaglio. Sono affascinata. Per me è una disciplina meravigliosa. Ho sempre legato corpo voce e anima e lo farò finché ne avrò possibilità. Adesso sto lavorando a un disco e ad uno spettacolo di teatro-canzone”.

Parliamo un po’ di questo spettacolo…

“Certo. Si intitolerà Fragilmente Forte. Tutti i testi saranno miei, anche se alcune canzoni saranno scritte anche da altri autori con cui sto già collaborando. Ci saranno musiche, testi e una storia in qualche modo quasi autobiografica legata alla musica, alla recitazione. Un po’ alla Gaber spiritosa. Sono una persona che ama molto ironizzare quello che la vita ci propone. Ho deciso che avverrà quando avrò 50 anni. Quindi ho ancora un anno e mezzo circa per lavorarci”.

Consiglieresti The Coach ad altre persone in futuro?

“Io sono solita consigliare ciò che fa crescere. The Coach lo consiglierei perché è un’esperienza, anche se faticosa e ti mette di fronte a cose particolari, con dei meccanismi televisivi spietati e molto distanti da ciò che uno si aspetta. Ti mettono nella condizione di capire qualcosa che va al di là di quello che sei abituato a vedere tutti i giorni. Ti fa vedere dei meccanismi che, magari, da fuori giudichi con grande facilità, ma che quando ci sei dentro capisci di più, visto che è difficile tirar su una macchina di questo tipo. Esperienze come The Coach fanno bene alle ossa, all’anima”.

Mi sembra giusto dedicare un pensiero anche ai giurati. Come ti sei trovata con loro?

“Bianca Atzei è arrivata alla finalissima. Per forza di cosa è stata obiettiva: è andata a pelle perché non ha conosciuto i ragazzi prima. E’ stata molto precisa nei giudizi. Mi è piaciuta molto. Ha una bella vocalità ed è un’artista che stimo artisticamente, visto che trovo abbia tante cose da dire. Maura Paparo la vedevo nei tempi dei primi Amici, l’ho sempre seguita. E’ una coreografa bravissima e professionale. Massimiliano Varrese lo adoro. Non posso dire diversamente: ho un amore profondo nei confronti di questo ragazzo, che trovo completo. Mi piace artisticamente, il suo modo di approcciarsi ai ragazzi, la sua obiettività, la sua schiettezza. Non si possono raccontare balle quando uno deve crescere, ma avere il coraggio di dire anche cose scomode. Meriam Jane non la conoscevo, ma ha una vocalità fantastica è meravigliosa. E’ stata giustamente severa. Infine, Davide Franconeri si è espresso pochissimo. Da coach probabilmente si è sentito un po’ in difetto rispetto alla preparazione artistica e professionale dei suoi vicini di banco ed ho visto che ha faticato molto nel dare giudizi. Capisco anche che si è trovato spesso a giudicare cantanti. Questo da ballerino non è assolutamente facile. Direi però che tutti i giurati si mischiavano bene tra di loro. Si sono trovati, in certe circostanze, a discutere sugli artisti. Come dico sempre, c’è un giudizio artistico oggettivo, visto che il talento lo riconosci anche se ti può non piacere, e uno soggettivo, che a pelle ti fa vibrare. Massimiliano, ad esempio, non ha mai nascosto, e si vedeva a impatto empatico, il suo attaccamento all’artisticità di Siba, che si è vista subito e da cui è rimasto colpito”.

Volevo farti un’ultima domanda su Siba, il cantante che ha condiviso con te la vittoria in questa terza edizione di The Coach. Cosa pensi di lui?

“Siba lo adoro. Primo perché voleva sbattermi subito fuori come coach all’inizio e quindi l’ho trovata una sfida interessante, anche se l’ho scoperto dopo. Appena l’ho visto nelle primissime telefonate, ho messo giù il telefono e ho detto alle mie compagne di squadra: ‘Questo è uno che ha le idee’. E premetto che l’ho detto per un ragazzo che fa un genere musicale che per me è in netta antitesi con quella che è stata la mia formazione di didattica vocale, visto che il rap e il trap sono molto distanti da me. Una distanza relativa, nel senso che do valore alla parola. Siba aveva un messaggio da dare; i suoi testi non erano banali. Nel suo sano egocentrismo eccessivo, che contraddistingue un sacco di artisti e di coach e che è giusto avere, entra la sua sicurezza che copre la sua profonda insicurezza, come capita spesso. Ha delle grandissime idee. E’ un artista in cui ho creduto e che sono felice di avere portato fino alla fine. E’ uno dei pochissimi che ho conosciuto in Academy e che è arrivato fino alla finale. Non me lo sono trovato all’ultimo momento con altri golden e twist. Il percorso intero ci ha fatto conoscere. Ci sentiamo regolarmente quasi tutti i giorni. Per cui siamo diventati un vero team”.

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