L’ex segretario del Partito Democratico e fondatore di Articolo Uno Pier Luigi Bersani non si ricandiderà alle elezioni del 25 settembre. E in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera oggi spiega perché: «È una cosa normale, come il tempo che passa. Ho fatto 20 anni il parlamentare da ministro, da segretario e da deputato semplice. Penso che basti. Non abbandono la politica, né la compagnia, darò una mano in altre forme. A settant’anni consiglio a tutti di avere disponibilità e non aspirazioni. Dopo queste elezioni ci sarà un reset, si aprirà una fase nuova che io mi auguro di costruzione. Noi abbiamo alle spalle l’esperienza del governo Draghi che non era un’agenda, era una occasione di organizzare i campi della politica in condizioni di sicurezza per il Paese».
E ancora: «Tanti mi chiedono perché non mi ricandido quando lo fa Berlusconi a 86 anni. Io a 11 facevo lo sciopero dei chierichetti, a 15 spalavo a Firenze, a 28 ero assessore regionale. Ho l’orologio in anticipo. Sul giaguaro faccio notare che lui dal 2013 non poté più fare il capo del governo». Ha un unico rimpianto: la presidenza del Consiglio nel 2018. «Certo che ci penso. Io potevo farlo il governo con Berlusconi, ma non avevo quella idea lì», dice oggi. Su Meloni e il pericolo fascista, invece, «prima deve vincere le elezioni, cosa non scontata. Questo Paese ha dei meccanismi di autotutela che spero scatteranno quando arriverà il giorno della riflessione su un salto così violento verso destra». Infine il suo slogan elettorale: «È ora di riprendere con forza il tema sociale, a cominciare dal lavoro. Il baluardo più forte di alternativa alla destra credo sia la lista Democratici e Progressisti, promossa da Pd, Articolo Uno, Demos e Psi. Andrò a sostenere questo listone plurale».