Il bonus 200 euro soltanto ai precari. E l’anticipo dell’adeguamento della pensione all’inflazione che sarebbe dovuto scattare nel 2023. Il nuovo decreto Aiuti di agosto del governo Draghi cambia completamente faccia dopo l’incontro con i sindacati. Perde la riduzione dell’Iva sul carrello della spesa. Ma conquista un taglio dello 0,8% per i redditi fino a 35mila euro, che si va ad aggiungere allo 0,8 di riduzione del cuneo già in vigore per tutto il 2022 per la stessa platea. Si punterebbe però almeno all’1% aggiuntivo di taglio. Oltre agli aiuti su bollette e benzina. E aumenta anche il potere d’acquisto dei pensionati. Il sistema attuale prevede fasce per la rivalutazione (100% fino a 4 volte il minimo, pari a 523 euro; 90% tra 4 e 5 volte il minimo e 75% sopra questa soglia). Qui probabilmente si interverrà.
Le misure avranno una durata fino a dicembre. E tra le norme potrebbe arrivare anche la proroga dello Smart working semplificato per i soggetti fragili. In sintesi il nuovo decreto Aiuti di agosto prevede:
- il taglio del cuneo fiscale: Draghi vuole rafforzare quello in vigore dello 0,8% sui redditi da lavoro dipendente fino a 35 mila euro lordi annui. Raddoppiarlo per sei mesi costerebbe 750 milioni;
- la rivalutazione delle pensioni: anticipata di sei mesi invece che a gennaio 2023; la misura dovrebbe costare 1,5 miliardi di euro per l’intero semestre;
- il bonus 200 euro ai precari e 100 euro per gli autonomi: ovvero lavoratori agricoli, stagionali, precari della scuola, lavoratori in somministrazione. La platea era esclusa dal primo bonus.
Nel decreto aiuti bis, atteso la prossima settimana, saranno anche replicate le misure taglia-bollette per l’ultimo trimestre. L’intero pacchetto potrebbe essere rafforzato, sia sul fronte del bonus sociale per energia elettrica e gas, sia su quello degli aiuti alle imprese. Sarà prolungato ancora anche il taglio delle accise sulla benzina, probabilmente fino a fine ottobre anche se c’è chi preme per arrivare alla fine dell’anno.
Secondo i primi calcoli con l’incremento della decontribuzione lo sconto potrebbe raddoppiare. Anche se oggi La Stampa scrive che l’entità del taglio potrebbe essere di appena 0,2 punti, portando così la riduzione complessiva ad un punto pieno (con l’aliquota dei contributi che passerebbe dal 9,19% all’8,19% nel settore privato e dal 8,8% al 7,8% nel pubblico). Ma non si esclude nemmeno la possibilità di raddoppiare lo sconto. Arrivando a 1,6% e mettendo così poco più di 200-250 euro nelle tasche dei lavoratori con redditi fino a 35 mila euro. L’intervento di decontribuzione, come annunciato alle parti sociali, si applicherebbe al secondo semestre dell’anno. Secondo l’agenzia Ansa i tecnici del Mef stanno ancora facendo i calcoli per definire la misura.
Che comunque si aggiungerebbe alla decontribuzione già in vigore fino alla fine dell’anno per i lavoratori dipendenti con redditi fino a 35mila euro, che è sempre dello 0,8%. Il taglio del cuneo introdotto con l’ultima manovra valeva per l’intero 2022, con un costo di circa un miliardo e mezzo. Tramonta invece il taglio dell’imposta sul valore aggiunto dei beni del carrello della spesa. Che nei giorni scorsi era stata chiesta a gran voce dalla Lega. Per il bonus 200 euro invece si va verso l’ok soltanto a precari e stagionali. I soldi verranno dirottati sul taglio del cuneo e sulla decontribuzione delle pensioni. Altre risorse verranno destinate al settore sanitario per la lotta contro Covid-19. E ai comuni, per fronteggiare la crisi idrica e la siccità.
Per quanto riguarda la rivalutazione delle pensioni, il governo prevede di far entrare in vigore gli aumenti già a settembre. Coprendo così gli ultimi 4 assegni dell’anno in corso più la tredicesima. Ma La Stampa scrive che il calcolo di 1,5 miliardi di costo complessivo della misura è ottimista. Nei mesi passati le previsioni per il 2023, a fronte di un’inflazione destinata ad arrivare a fine anno al 6,8%, parlavano di un costo nell’ordine di 10-12 miliardi di euro. L’anticipo potrebbe invece essere calcolato a partire dall’inflazione acquisita. A giugno era +6,2%. Oppure utilizzando l’inflazione programmata per il 2022 (+5,8% l’ultimo Def). Anche così però non costerebbe meno di 4-5 miliardi di euro.
C’è però un piano alternativo. Che prevede di rivedere i criteri della perequazione. In base alle regole in vigore, l’indicizzazione non si applica infatti allo stesso modo a tutti i trattamenti pensionistici. Da circa 20 anni è in vigore un meccanismo che prevede l’indicizzazione piena per le pensioni più basse. E invece la rivalutazione parziale per quelle d’importo superiore. Attualmente le pensioni vengono rivalutate:
- del 100% se di importo fino a 4 volte il trattamento minimo Inps (che per il 2022 pari a 524,34 euro);
- del 77% tra 4 e 5 volte il minimo;
- del 52% tra 5 e 6 volte il minimo;
- e infine del 47% tra 6 e 8 volte il minimo, del 45% tra 8 e 9 volte il minimo e del 40% se di importo superiore a 9 volte il minimo.
Una rivalutazione sostanziale potrebbe partire dalla revisione di questi criteri. Oppure da un taglio netto del totale della contribuzione. Che farebbe risparmiare un paio di miliardi di euro.