A proposito del disegno di legge ‘sicurezza’ in discussione in Parlamento, il portavoce e il coordinamento della Conferenza nazionale dei Garanti territoriali dei detenuti: «rischiamo norme di dubbia legittimità costituzionale e un impatto esplosivo sul sistema penitenziario»
Il Portavoce e il Coordinamento della conferenza nazionale dei garanti territoriali delle persone private della libertà personale esprimono ancora una volta preoccupazione per lo scollamento tra la realtà drammatica delle carceri italiane e i provvedimenti normativi già promulgati o in corso di approvazione.
Sovraffollate e con un numero altissimo di suicidi tra persone detenute e agenti di polizia penitenziaria, le carceri sono una polveriera: esasperazione, abbandono e indifferenza verso il modo dell’esecuzione della pena, che non può consistere in trattamenti contrari al senso di umanità, fanno di questo momento storico il più delicato dopo la sentenza “Torreggiani” della Corte europea
dei diritti dell’uomo. Più di ottomila persone detenute, che devono scontare un residuo di pena inferiore a un anno, potrebbero uscire dal carcere con interventi mirati – come, ad esempio, la c.d. liberazione anticipata “speciale” – che il Parlamento non sembra voler prendere in considerazione.
Abbiamo così, per un verso, i rimedi omeopatici di scarso o nessun impatto nel breve periodo introdotti dalla legge 8 agosto 2024, n. 112, e, per l’altro, le temibili disposizioni e nuove fattispecie di reato previste dal disegno di legge sulla sicurezza pubblica in corso di votazione in Parlamento.
L’approvazione, solo qualche giorno fa, dell’art. 12 che cancella il differimento obbligatorio della pena per donne in gravidanza e madri di minori di un anno rappresenta un enorme passo indietro rispetto alla tutela della maternità e dell’infanzia, ed è in netto contrasto con i pronunciamenti sul tema della Corte costituzionale e delle convenzioni internazionali.
Per quanto attiene alle norme sul rafforzamento della sicurezza all’interno degli istituti penitenziari e nelle strutture di trattenimento e accoglienza per i migranti, anche qui si evidenzia la logica securitaria che permea l’intero provvedimento normativo perseguendo l’obiettivo della criminalizzazione di ogni forma di dissenso. L’idea di fondo è che ogni specie di dissenso contro l’autorità costituita o le istituzioni totali debba essere punita con esemplare severità.
Siamo preoccupati per la formulazione del nuovo art. 415 bis c.p., che – se approvato – punirebbe la pacifica protesta all’interno di un istituto penitenziario ancor di più se nella forma aggravata.
Lo stesso problema si riscontra anche rispetto al parallelo art. 14 T.U. immigrazione come riformulato dal disegno di legge in esame, che punisce con la reclusione da uno a sei anni chiunque – durante il trattenimento o la permanenza nelle strutture per i migranti – promuove, organizza o dirige una rivolta mediante atti di violenza o minaccia o mediante atti di resistenza anche passiva agli ordini impartiti. Il fatto deve essere commesso da tre o più persone riunite e prevede la punibilità per la mera partecipazione.
Risulta assai grave l’assimilazione, sul piano del disvalore di condotta, tra violenza, minaccia ed atti di resistenza passiva: difficile, peraltro, anche sul piano logico, immaginare una rivolta pericolosa che consista in atti di mera disubbidienza civile. Sarà quindi criminalizzato lo sciopero della fame portato avanti da tre o più detenuti? Il tenore delle norme non consente di escluderlo.
Ci auguriamo che il Ministro della Giustizia intervenga prima che il Parlamento approvi in via definitiva disposizioni dall’impatto esplosivo e di dubbia legittimità costituzionale.
Il portavoce
Samuele Ciambriello, Garante regione Campania
Il Coordinamento
Bruno Mellano, Garante regione Piemonte
Valentina Calderone, Garante comune Roma
Valentina Farina, Garante provincia Brindisi
Giuseppe Fanfani, Garante regione Toscana
Francesco Maisto, Garante comune Milano
Veronica Valenti, Garante comune Parma