Da Pirla a Pirlo, anatomia di una trasformazione vocalica

4 Febbraio 2021 - 9:00

Da Pirla a Pirlo, anatomia di una trasformazione vocalica

Il bello del calcio è che i giudizi sono legati alla contingenza e dunque stocastici. Un giorno sulla polvere, un altro sull’altare. A seconda dei risultati. Prendiamo Pirlo, ad esempio. Un fior di campione in campo. Nessuna esperienza in panca.

E da un giorno all’altro s’è trovato da tecnico designato per la squadra U23 a successore di Sarri alla guida della Vecchia Signora. Una tesina discussa a Coverciano e via verso la nuova vita.

Capigliatura alla Giuseppe Verdi, la voce un po’ monotona, lo sguardo sornione e uno spogliatoio ricco di campioni, ma anche di quasi brocchi. Ha Tudor, colosso croato, come secondo.

Pronti via e 6 pareggi nelle prime dodici giornate. Una frana nel meccanismo dei tre punti a vittoria. Una volta, a cena con Marcello Lippi, gli chiesi perché la sua Juve fosse poco incline ai pareggi, quasi li disdegnasse.

Mi mostrò la mano aperta e contò sulle dita: cinque pareggi valgono cinque punti, due sconfitte e tre vittorie ne valgono nove. Già, elementare Watson. Quelle 6 ics di troppo hanno rallentato la marcia della Juve.

Lo scorso anno girò in testa, ora è in affannosa rincorsa. Nei salotti televisivi del bla-bla-bla e sui social la battuta venne spontanea: mi sa che Pirlo sia un tecnico Pirla.

Certo, i continui cambi di formazione, il non aver intuito da subito il valore assoluto di Arthur, il lancio di alcuni babies della seconda squadra – Frabotta, chi era costui? -, l’ostinazione a far giocare il sinistro Rabiot sul fronte destro sembravano avallare il cambio di nome.

Ci ha impiegato un po’ di tempo, poi ha capito in che cosa aveva sbagliato. Ed ha fatto ammenda. Uno dei centrocampisti più geniali del nostro calcio e non solo non poteva non trovare la trama giusta.

Certo, immagino che cosa pensi nel vedere gli errori banali del generoso Bentancur: almeno due a partita. Lui che una volta guardò torvo un compagno e lo rimproverò di non avergli passato la palla.

Ma eri marcato da un paio di avversari. E allora? Tu passamela, poi ci penso io. Piano piano ha smesso di essere Pirla. Ed ha cominciato a far tesoro anche delle batoste. Come quella rimediata in casa dell’Inter un paio di settimane fa.

Per aver messo Frabotta e Ramsey sul lato di Hakimi e Barella. Da lì, il volo in campionato e la vendetta consumata nell’andata della semifinale di coppa Italia. Fregato da Conte e quindi Pirla. Ha fregato Conte ed è tornato Pirlo.

Nelle more, ha messo in bacheca la Supercoppa. S’è qualificato primo nel girone di Champions ridando a Messi, con gli interessi, i ceffoni presi in casa. Senza CR7, però. E sta prendendo quota il gioco pirliano.

L’idea che si debba andare in campo con l’intenzione di fare la partita, di dominare il gioco e di irretire gli avversari. Ha la chioma alla Giuseppe Verdi e vorrebbe far suonare la marcia trionfale dell’Aida per il decimo scudetto consecutivo. Non sarà facile. Comunque, non ditegli che Beethoven si fermò alla decima: l’incompiuta.

Adolfo Mollichelli