Sedici anni dopo quella che Roberto Saviano ha definito una vera e propria “odissea”, arriva la sentenza della Corte d’Appello di Roma: confermate le condanne per il boss dei Casalesi, Francesco Bidognetti, e per il suo legale, l’avvocato Michele Santonastaso. Il primo dovrà scontare un anno e mezzo di carcere (pena simbolica, essendo già detenuto al 41 bis dal 1993), il secondo un anno e due mesi. Entrambi riconosciuti colpevoli di minacce aggravate dal metodo mafioso ai danni dello scrittore e della giornalista Rosaria Capacchione.
Il provvedimento chiude un lungo capitolo giudiziario aperto il 13 marzo 2008, quando durante il processo d’appello “Spartacus” a Napoli – che vedeva alla sbarra i vertici del clan dei Casalesi – l’avvocato Santonastaso lesse in aula un documento, firmato anche dal suo assistito, in cui attaccava apertamente Saviano e Capacchione. Oggetto della contestazione, il libro “Gomorra” e gli articoli pubblicati su Il Mattino, ritenuti capaci di influenzare la Corte. Un gesto che la Direzione Distrettuale Antimafia interpretò fin da subito come una vera intimidazione nei confronti dei due giornalisti.
All’epoca, le minacce portarono all’inasprimento del dispositivo di protezione per Saviano, già sotto scorta dal 2006. Oggi, alla lettura della sentenza, lo scrittore napoletano ha abbracciato in lacrime il suo avvocato Antonio Nobile, tra gli applausi spontanei dell’aula. “Mi hanno rubato la vita”, ha detto, visibilmente commosso. “Sedici anni di processo non sono una vittoria per nessuno – ha aggiunto – ma oggi c’è la dimostrazione che la camorra teme l’informazione. Questo processo certifica che i boss misero nel mirino chi raccontava il loro potere criminale. Non fu la politica il bersaglio, ma il giornalismo”.
Parti civili nel procedimento anche la Federazione Nazionale della Stampa Italiana e l’Ordine dei Giornalisti. La sentenza conferma in toto quanto già stabilito in primo grado dalla Quarta Sezione Penale del Tribunale di Roma: le minacce, pronunciate in un’aula di giustizia e rivolte a chi aveva semplicemente fatto il proprio dovere di cronaca, erano aggravate dal metodo mafioso.
Il processo è approdato a Roma dopo che la Cassazione, nel 2016, aveva annullato la precedente sentenza della Corte d’Appello di Napoli, trasferendo il fascicolo per competenza territoriale nella Capitale. Dopo anni di rinvii e udienze, il verdetto di oggi segna una nuova tappa nel difficile rapporto tra mafia e libertà di stampa. E per chi, come Saviano, da anni vive sotto protezione, rappresenta una forma, seppur tardiva, di giustizia.
Fonte: Fanpage.it
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