Bergamo, ora spuntano 110 polmoniti sospette già a novembre e dicembre

30 Giugno 2020 - 17:25

Bergamo, ora spuntano 110 polmoniti sospette già a novembre e dicembre

Che il coronavirus circolasse in Lombardia già da settimane prima della scoperta ufficiale del primo caso di Codogno è un dato su cui tutti gli esperti tendono a essere d’accordo. Adesso arrivano altri dati a fornire un ulteriore elemento di riflessione: sono quelli che l’Agenzia per la tutela della salute di Bergamo e l’Azienda socio sanitaria territoriale di Bergamo Est hanno fornito al consigliere regionale lombardo Niccolò Carretta, di Azione, dopo una richiesta di accesso agli atti relativi all’ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo, la struttura al centro dell’inchiesta per epidemia colposa della procura di Bergamo perché, si ipotizza, possa aver fatto da “amplificatore” dei contagi nella Val Seriana.

Dai dati relativi ai ricoveri durante lo scorso inverno, riportato dal quotidiano “L’Eco di Bergamo”, emerge che già prima dei due casi “bergamaschi” ufficiali di Coronavirus, scoperti ad Alzano il 23 febbraio, nell’ospedale c’erano stati 110 casi di polmoniti sospette. Ai 18 ricoveri di novembre ne sono seguiti 40 a dicembre e 52 a gennaio, tutti con codice di diagnosi 486, ossia “polmonite, agente non specificato”. Una diagnosi che non è una caratteristica solo dell’ultimo inverno, ma che rispetto a quello precedente ricorre con maggiore frequenza: in tutto il 2018 all’ospedale di Alzano c’erano state 196 polmoniti non riconosciute, mentre nel 2019 sono state 256, il 30 per cento in più, e questo considerando solo i ricoveri: i semplici accessi al pronto soccorso, infatti, non vengono conteggiati in questa casistica.

Non è possibile sapere con certezza che tutte o alcune di queste polmoniti sospette siano state causate dal Coronavirus, come precisa anche il direttore generale di Ats Bergamo Massimo Giupponi nella sua relazione: “La semplice analisi della ‘Scheda di Dimissione Ospedaliera’ non consente di poter ascrivere tale diagnosi a casi di infezione misconosciuta da Sars Cov-2”. Ma certo viene il sospetto, più che fondato, che se si fosse fatto il tampone a qualcuno di quei pazienti ricoverati con polmoniti sospette forse si sarebbe potuto scovare prima, e magari arginare meglio, il virus e la sua diffusione. Anche perché, come già emerso per Codogno e come confermato anche da Giupponi per i casi di Alzano, la scoperta dei primi casi ufficiali di Coronavirus in Italia è avvenuta contravvenendo alle circolari ufficiali emanate dal ministero della Salute. Se infatti le prime linee guida del 22 gennaio raccomandavano di considerare come caso sospetto un paziente con “decorso clinico insolito o inaspettato”, “senza tener conto del luogo di residenza o storia di viaggio”, dal 27 gennaio è stata introdotta la variabile relativa alla “storia di viaggi nella città di Wuhan (e nella provincia di Hubei)” nelle due settimane prima dell’insorgenza dei sintomi. Una variabile che ha limitato la tamponatura di molti casi sospetti: anche queste linee guida del ministero sono finite nell’inchiesta della procura bergamasca su quanto accaduto all’ospedale Pesenti Fenaroli.