Nel 2005 la morte di Karol Wojtyla suscitò nell’animo dei fedeli una forte spinta nel farlo proclamare santo.
In questi giorni sta accadendo la stessa cosa a seguito della morte di Joseph Ratzinger .
A spiegare la situazione è lo storico delle religioni Alberto Melloni oggi sul Resto del Carlino, tutto dipende dalla volontà di Papa Francesco. Melloni spiega che il titolo di “dottore della Chiesa”, a cui il papa tedesco potrebbe aspirare, si attribuisce dopo la canonizzazione e non prima. E ricorda che i due papi della riforma gregoriana, Leone IX e Gregorio VII, sono diventati santi rispettivamente 27 anni e cinque secoli dopo. Anche Pio V dovette aspettare un secolo e mezzo dalla sua scomparsa per la canonizzazione. Mentre Pio XII è rimasto venerabile e Roncalli è stato beatificato da Wojtyla e canonizzato insieme a lui.
Tra il regno di Benedetto e quello di Francesco, d’altro canto, tutti i Papi dal 1958 al 2005 sono diventati santi. Quindi è facile che la richiesta di santità per Ratzinger parta da subito a piazza San Pietro per arrivare alla diocesi di Roma. Che è l’unica che ha diritto di postulare la causa di un suo vescovo. E qui, spiega l’esperto, entra in scena Francesco: «Non tirerà il freno, mettendosi in cattiva luce con chi lo ha contestato, o ha sbandierato quel “Benedetto è il mio papa”, che proprio Ratzinger non avrebbe tollerato». Ma non farà nemmeno scelte affrettate: anche se questo significherà trovarsi di fronte l’accusa “chi non deroga, ostacola”. Per Melloni «Francesco si trova nella posizione di chi deve decidere se creare un precedente. Se si dimetterà, diventerà difficile per il successore non fare come due predecessori. E se canonizzerà il predecessore, diventerà impossibile per il successore non canonizzare lui». E quindi il Papa lascerà chiedere a chi vuole e non ostacolerà l’istruzione della causa. Poi, eventualmente, deciderà se fare il passo o se lasciarlo al suo successore.
Proprio Bergoglio oggi affida a Repubblica un ricordo di Ratzinger. «Quello di Benedetto XVI è e rimarrà sempre un pensiero e un magistero fecondo nel tempo». Perché «la ricerca del dialogo con la cultura del proprio tempo è sempre stato un desiderio ardente di Joseph Ratzinger. Lui, da teologo prima e da pastore dopo, non si è mai confinato in una cultura solo intellettualistica, disincarnata dalla storia degli uomini e del mondo». E infine: «Benedetto XVI faceva teologia in ginocchio. Il suo argomentare la fede era compiuto con la devozione dell’uomo che ha abbandonato tutto se stesso a Dio e che, sotto la guida dello Spirito Santo, cercava una sempre maggior compenetrazione del mistero di quel Gesù che lo aveva affascinato fin da giovane», scrive Bergoglio. «Il modo nel quale Benedetto XVI ha saputo far interagire cuore e ragione, pensiero e affetti, razionalità ed emozione costituisce un modello fecondo su come poter raccontare a tutti la forza dirompente del Vangelo».
Fonte: Open