“Avrei voluto una pistola per sparare…” parla Gian Michele Gangale, l’elettricista accoltellato

23 Marzo 2020 - 17:17

“Avrei voluto una pistola per sparare…” parla Gian Michele Gangale, l’elettricista accoltellato

“Avrei voluto una pistola per sparare…” parla Gian Michele Gangale, l’elettricista accoltellato

“AVREI VOLUTO AVERE UNA PISTOLA PER SPARARE AI 3 RAPINATORI” – PARLA GIAN MICHELE GANGALE, L’ELETTRICISTA ACCOLTELLATO DURANTE UN COLPO NELLA SUA VILLA E RIMASTO PARALIZZATO: “MI HANNO UCCISO. NON POSSO FARE NULLA DA SOLO. SA QUANTO HANNO PORTATO VIA? SEIMILA EURO IN GIOIELLI A DIR TANTO! QUESTO VALEVA LA MIA VITA. IO SONO CONDANNATO ALL’ERGASTOLO. LO STATO MI HA AIUTATO ECONOMICAMENTE? NO…”

«Io sono morto, mi hanno ucciso anche se lei adesso mi vede così, su una carrozzina paralizzato dal collo in giù». Gian Michele Gangale, professione elettricista, aveva una bella vita, piena di piccole e semplici soddisfazioni fino a quel maledetto 24 gennaio del 2013 quando quattro persone entrarono in casa per rapinarlo. «Era poco prima dell’ alba ed era un giovedì, ed io ero stranamente nella mia casa».

L’ intervista con Gian Michele, Gianni per gli amici, avviene in videochiamata. Gianni non può nemmeno tenere in mano il telefonino, ha il capo coperto da una felpa e gli occhi intelligenti e profondi di chi ha chiaro il proprio destino. Gianni è un lottatore e lo dimostra anche durante l’intervista.

Perché era “stranamente” a casa?
«Perché di solito io uscivo di casa verso le 6.30 della mattina per recarmi sul lavoro ed invece quel maledetto giorno ero a casa perché non mi sentivo bene».

Quando si accorse che stava accadendo qualcosa di terribile?
«Sentii le grida della compagna di mio padre, Maria, che si trovava al piano terra mentre io ero al primo piano, a letto. Subito pensai che fosse accaduto un incidente domestico e quindi solertemente scesi le scale per raggiungerla. Vidi un uomo alto ed incappucciato che mi diede delle coltellate, di cui una al collo, facendomi perdere conoscenza.
Da lì non ricordo più nulla. Mi svegliai all’ ospedale Careggi di Firenze».

Lei non era armato, non pensò ad una aggressione in casa?
«No non avevo alcuna arma. Però se avessi avuto un’arma mi sarei difeso. Prima di farmi ammazzare, avrei sparato, perché la vita è unica e nessuno ha il diritto di toglierla a un altro. Non c’ è bene che valga di più».

Lei per fortuna non è morto però …
«E le sembra vita questa? Sono immobile e ho bisogno di una persona sia per fare i miei bisogni che per pulirmi il sedere. Non posso fare nulla da solo e questo a causa di tre disgraziati che volevano fare la rapina del secolo. Sa quanto hanno portato via? Seimila euro in gioielli a dir tanto! Questo valeva la mia vita. Io sono condannato all’ ergastolo».

Che cosa è successo dopo ai suoi aggressori?
«Le posso raccontare una cosa che è successa prima? Lei sa che i Carabinieri avevano già fermato la macchina dei banditi qualche giorno prima?».

Gianni mi invia per mail la sentenza di condanna di primo grado dove si legge che il Capitano dei Carabinieri Valeri aveva individuato il 18 gennaio la presenza di una Mini Cooper rubata a Montecatini tra il 30 ed il 31 dicembre. La macchina era parcheggiata vicino alle telecamere di una farmacia e fu messa sotto controllo tramite GPS dai carabinieri che ne ripresero gli spostamenti. Così si noto che le chiavi erano nelle mani di un minorenne albanese che risultò poi presente alla rapina.

Quindi lei mi vuole dire che se i Carabinieri avessero fermato coloro che avevano rubato la macchina forse la rapina non ci sarebbe stata?
«Direi che più che io a dirlo, lo dimostrano i fatti».
La rabbia di Gianni è sempre più evidente perché capisce che tutto poteva essere evitato e la sua vita adesso sarebbe probabilmente un’ altra.

Ai suoi aggressori cosa è accaduto?

«Grazie al rito abbreviato sono stati condannati a quattordici, dieci e otto anni, una vergogna. Come ho già detto sono all’ ergastolo, posso solo pensare, la testa per fortuna mi funziona; ma io sono pieno di rabbia».

Rabbia per la giustizia?
«Anche, non trovo giusto che chi mi ha condannato a questa “non vita” abbia potuto usufruire della legge che ha permesso uno sconto di pena. Io credo che la colpa per questo sia anche della legge. Ci vogliono pene più severe e soprattutto più certe e immediate, per scoraggiare i criminali».

Lei adesso dove vive?
«Vivo ad Agliana, in una piccola casa con mia moglie Lydia e mio figlio avuto dopo l’ incidente attraverso l’ inseminazione artificiale. Sono cinquanta metri quadri ma non mi lamento affatto; diversamente sono furibondo perché sono un peso e non sono un aiuto; le faccio un esempio. Se mio figlio cade per terra non lo posso tirare su, ma posso soltanto dirgli “alzati non piangere”; questa per me e una terribile umiliazione».

Però sua moglie le è vicina?
«Eravamo fidanzati quando successe l’ aggressione e lei è sempre stata al mio fianco senza mai abbandonarmi».

Ha avuto delusioni?
«Sì molte, ma non mi interessa parlarne».

Lo Stato l’ ha aiutata economicamente?
«No. Ho una pensione di invalidità di 1000 euro e il comune mi da 250 euro al mese. Non posso avere il fondo per le vittime di violenza perché già percepisco l’ indennità. Una follia».

Su questo punto mi aiuta a comprendere il motivo di tale decisione l’ avvocato Elisabetta Aldrovandi (Presidente dell’ Osservatorio Nazionale sostegno vittime) che ci spiega il perché di questa criticità amministrativa: «Il caso di Gian Michele Gangale fa comprendere come le vittime di un grave reato spesso non solo non riescono ad avere la giustizia che meritano nelle aule di tribunale, ma restano abbandonate dallo Stato che non dà loro il sostegno adeguato, soprattutto economico. Gian Michele, molto probabilmente, con la formulazione attuale della legge 122/2016 che ha istituito il Fondo per le vittime di reati violenti, non avrà diritto all’ indennizzo previsto di euro 25.000 (oltre ulteriori 25.000 per rimborso spese mediche), poiché già percepisce una pensione di invalidità per le gravissime lesioni riportate in seguito alla rapina.

Delle due l’ una: o si dà la possibilità a chi ha subito gravi reati di accedere a questo fondo, anche se percepisce altri sussidi da parte dello Stato, oppure si aumentano queste indennità, perché una somma di poco più di 1.000 euro al mese non consente, soprattutto nelle condizioni di gravi disabilità, di poter condurre una vita dignitosa. E ricordiamo che Gian Michele è stato ridotto in sedia a rotelle da persone che, grazie al rito abbreviato, sconteranno una pena oggettivamente inadeguata alla gravità del fatto commesso, e che non gli hanno risarcito un centesimo per tutti i danni fisici che gli hanno causato. Mentre lui, ha la vita distrutta».

Ascolta Gianni, e muove la testa. Da una parte la fortuna di avere al suo fianco una donna che lo ama ed il figlio, dall’ altra la tristezza della sua impotenza nel non poterli difendere in caso di necessità .
«Io posso solo muovermi su questa carrozzella elettrica che costa 30 mila euro.
Non posso essere inserito nelle case popolari perché ho un Van con 2000 di cilindrata (mi serve per trasportarmi). Diverso per tante persone, soprattutto non italiani , a cui tutto è consentito. Già, a volte le leggi sembrano fatte non per gli italiani».

(Dagospia.com)