Andrea Petagna è uno che ce l’ha fatta. Non a diventare il bomber della Nazionale, o a vincere la classifica dei cannonieri. Almeno non ancora. Ce l’ha fatta a raggiungere qualcosa di meno eclatante, ma per lui infinitamente più importante: giocare a pallone.
Ha edificato la pietra angolare della sua passione con una forza e una tenacia certosina dinanzi alle quali le sfrenate, eppur legittime, ambizioni calcistiche assumono contorni effimeri.
La storia di Andrea non è di quelle che finiscono sulle copertine di World Soccer e neppure negli altari privati delle idolatrie. Ma possono toccare corde di più profonda sensibilità.
E’ nato a Trieste tra gli schiaffi della Bora che si infrangono su un fisico imponente, di quelli che o sei forte veramente o diventi un gigante d’argilla. Il nonno ha fatto il calciatore professionista.
Ha giocato pure in Serie A e a casa sua ci sono ricordi e fotografie di orgoglio immenso che diventa racconto infinito. Lui ha la stazza per provare a rinverdire la favola di famiglia.
Predestinato che a 14 anni sembra che ne abbia il doppio per morfologia. Il peregrinare sui campetti è breve. Il Milan lo mette nel radar. Ed è un botto di quelli siderali.
Petagna in rossonero vince tutti i campionati che possano esistere tra i ragazzini. Due scudetti, Allievi e Giovanissimi, e persino il trionfo nel Torneo di Viareggio con la Primavera.
Tutto griffato con gol di levatura superiore. Se ne innamora persino Berlusconi che lo definisce, nelle sue istrioniche iperboli spesso felici, il nuovo Vieri.
La Primavera è solamente una breve passerella, perché con la benedizione del Cavaliere il salto in prima squadra è veloce. Debutta in Champions League a 17 anni.
Enfant prodige è dir poco. Anche perché lui di “enfant” non ha nulla, tanto meno la fisicata da Bronzo di Riace. Ma quel profilo audace, cammin facendo, si piega a un metabolismo invasivo e perde grazia neoclassica.
Petagna passa dall’arte scultorea di Fidia all’imponenza di un quadro di Botero. Le sue spalle larghe si piegano al peso, fisico e morale, cedendo al terrore della delusione.
Il bomber del futuro si spegne a neppure 20 anni. Dopo un agonizzante girovagare in Serie B, decide di ritirarsi. Qui comincia la sua storia più bella. I genitori lo scuotono, gli danno conforto e gli tolgono qualsiasi peso.
Andrea vai a giocare dove ti pare, quello che accadrà non sarà mai più importante della tua felicità. Che si materializza sotto forma di un Dea. L’Atalanta è la sua rinascita.
Sudore, fatica e straordinaria dedizione. Il resto lo conosciamo tutti. Una quarantina di gol in 3 anni tra Bergamo e Ferrara con la Spal. Adesso il ragazzo di Trieste ha lasciato alla dogana la bora friulana per il sole di Napoli.
Tocca a lui scaldare il cuore del tifo più passionale del mondo. Senza Dries e Osimhen ha un posto in prima fila nella falange di Gattuso. Un posto che si è guadagnato segnando già 3 gol in spezzoni di apparizioni.
Si comincia domani all’Olimpico e poi chissà cos’altro può riservare ancora la vita in azzurro. Da ogni apparente difficoltà può nascere una meravigliosa opportunità.
Soprattutto per lui che a 25 anni sembra aver già vissuto un romanzo. Di quelli che quando tutto sembra perduto, arriva il miracolo di un gancio in mezzo al cielo.
Bruno Marra