L’America’s Cup è un evento unico al mondo. Lo è per la storia e per ciò che rappresenta per il settore della vela. Ma lo è anche per la parte organizzativa.
Un esempio che non si trova in nessun’altra disciplina sportiva al mondo e che merita un approfondimento. I team che partecipano all’America’s Cup sono delle vere e proprie aziende, come può esserlo una scuderia di Formula 1.
Ma l’evento che si va a disputare, al netto di eventuali eventi promozionali, si svolge interamente in una location scelta dal defender. Chi lo sfida, quindi, deve mettere in conto un lungo soggiorno in un altro paese, dislocando centinaia di persone e intere famiglie.
Luna Rossa, in questo momento, è ad Auckland per disputare la Prada Cup, che partirà il prossimo 15 gennaio. Ma, per 11 persone che sono a bordo dello scafo, ce ne sono centinaia a terra e, soprattutto, quasi tutte con famiglia al seguito.
“La scelta che fanno quasi tutti i team è quella di facilitare l’unità delle famiglie dei membri, perché si parla di periodi lunghi in cui un intero team si delocalizza – spiega Paolo Scutellaro, campione del mondo di vela e manager, a capo della prima spedizione di Mascalzone Latino, proprio ad Auckland, nel 2003 -.
Questo facilita i rapporti, perché avere la famiglia vicino permette anche un distacco dal momento sportivo. In questo modo viene salvaguardato l’aspetto psicologico e morale del team.
La vela è uno sport in cui l’aspetto fisico è al servizio di quello mentale, da cui dipendono le sorti delle regate». Ma come si possono spostare decine di famiglie all’altro capo del mondo?
Innanzitutto, si valuta il budget a disposizione. Da questo dipende il tipo di scelta da poter fare. Le spese certe sono quelle dei viaggi aerei di andata e ritorno e dell’alloggio.
Alcuni team scelgono soluzioni indipendenti per le famiglie, altri si appoggiano ad hotel o residence, riuscendo a ricreare una comunità. Naturalmente disponibilità economiche maggiori consentono di dare maggiori comfort.
Si considerano le spese del vitto e, su questo piano, ogni team si regola in modo diverso. È usuale che ogni team organizzi una propria mensa, messa a disposizione degli equipaggi e degli altri membri, aperte magari anche alle famiglie.
Avere a disposizione il cibo al quale si è abituati nel proprio paese contribuisce ad aiutare il morale. Ma, abitualmente, la sera si rientra a casa, salvo appuntamenti programmati per aumentare la coesione dell’equipaggio.
“Un team di Coppa America rappresenta una vera e propria delocalizzazione di un’azienda in un paese straniero – spiega ancora Scutellaro -.
Una volta conosciuti i numeri di atleti, amministrativi, tecnici e famiglie al seguito (si può andare, solo per i membri del team, da 80 a 150 persone), si crea una società ad hoc che deve agire in base alle leggi del paese ospitante.
Vengono, quindi, coinvolti dei consulenti locali che si occupano di aspetti vari, da quelli legali e finanziari a quelli più spiccioli, come la ricerca degli alloggi o gli spostamenti logistici.
In questo modo si crea anche un indotto per il paese ospitante e, allo stesso tempo, si integra una comunità straniera nelle abitudini locali».
A volte, poi, la trasferta può portare anche delle felici sorprese. Com’è accaduto a Pierluigi De Felice, attuale membro dell’equipaggio di Luna Rossa, che fece proprio con Mascalzone Latino, nel 2003, la sua prima esperienza in Coppa America.
Ad Auckland conobbe Vanya, divenuta poi la madre delle sue due figlie. Chissà che la Nuova Zelanda non gli riservi qualche altra sorpresa piacevole, questa volta sul piano strettamente sportivo. Lo scopriremo dal prossimo 15 gennaio.
Carlo Zazzera