Alessia Pifferi capace di intendere e volere: “Ha preferito i suoi desideri alla figlia”. La perizia per la morte della piccola Diana

26 Febbraio 2024 - 12:02

Alessia Pifferi capace di intendere e volere: “Ha preferito i suoi desideri alla figlia”. La perizia per la morte della piccola Diana

Era capace di intendere e di volere Alessia Pifferi, la 38enne che a Milano nel luglio 2022,  ha lasciato morire di stenti la figlia Diana di meno di un anno e mezzo, abbandonandola da sola in casa per sei giorni.

Lo ha stabilito la perizia psichiatrica firmata dallo psichiatra forense Elvezio Pirfo, depositata oggi e disposta dalla Corte d’Assise di Milano nel processo per omicidio volontario aggravato.

Secondo la perizia Alessia Pifferi è “capace di partecipare coscientemente al processo” e “al momento dei fatti era capace di intendere e di volere”.

Il perito scrive ancora che “al momento dei fatti , ha tutelato i suoi desideri di donna rispetto ai doveri di accudimento materno verso la piccola Diana , e ha anche adottato ‘un’intelligenza di condotta’ viste le motivazioni diverse delle proprie scelte date a persone diverse”.

Secondo lo psichiatra la donna non ha “disturbi psichiatrici maggiori”, né “gravi disturbi di personalità”.

Conclusioni in linea con quanto sostenuto dal pm di Milano Francesco De Tommasi e dal suo consulente.

La 38enne rischia la condanna all’ergastolo.

Sulla capacità di intendere della donna si gioca tutto il processo.

Nella stessa perizia si legge ancora che “lo studio già eseguito sulle capacità cognitive della Pifferi, comprensivo del monitoraggio e dei colloqui che hanno preceduto la somministrazione del test di Wais.

Non è del tutto conforme ai protocolli di riferimento e alle buone prassi in materia di somministrazione di test psicodiagnostici.

Quindi l’esito del predetto accertamento, non può essere ritenuto attendibile e compatibile con le caratteristiche mentali e di personalità dell’imputata per come emergono dagli ulteriori atti del procedimento e dall’osservazione peritale”.

“Deficit simulati dall’imputata”

Gli esperti ricostruiscono come su Pifferi abbia influito un’infanzia fatta di “deprivazione affettiva” e “abusi”.

All’epoca dell’abbandono della figlia “guardava a sé più come donna che come madre”, e “mai come realizzazione del desiderio materno di aver cura dei propri figli”.

I deficit cognitivi “sono simulati”. Non emergono sintomi psicotici.

Quando ha lasciato la figlia sola a casa, con un solo biberon, Pifferi “era consapevole che non sarebbe bastato”.

La motivazione principale del suo comportamento è stato quello di “assecondare i suoi bisogni di donna e non i suoi doveri di madre”.

Dunque, è capace di intendere e di seguire il processo, secondo gli esperti.