Volevo essere Marlon Brando (ma soprattutto Gigi Baggini)”. Con un titolo del genere della propria autobiografia (l’editore è Baldini+Castoldi) non puoi chiamarti che Alessandro Haber. Inesauribile, inarrestabile, funambolico attore consumato dal

fuoco sacro della recita, del palco, dell’esibizione, fin da quando bimbo poi adolescente malandrino, tra le strade d’IsraeleVado (in provincia di Bologna) e Verona, cerca l’epica di una posa senza tempo (Brando) e intanto si dimena nella danza forsennata del

guitto disposto a tutto (Baggini, il personaggio interpretato per pochi minuti da Ugo Tognazzi in Io la conoscevo bene). Il “prototipo” Haber dice Abatantuono, l’ “attore per eccellenza” spiega Michele Placido, “non capisci mai quando recita e quando no”

sottolinea Marco Bellocchio. Intanto fra 120 film, oltre 50 interpretazioni a teatro, un’infinità di occasioni perdute e di incontri clamorosi (Godard, Welles), ecco la biografia sboccata, commovente, dolceamara, da ridere fino alle lacrime. “Ho cercato di mettermi a

nudo. Non risparmiando nemmeno gli altri. Un parto vero, senza mezzi termini, senza sovrastrutture, non edulcorato, non celebrativo. Me l’avevano chiesto anni fa, dissi ma che cazzo, no! Poi mentre ero ad un festival a La Maddalena dedicato a Gian Maria

Volonté e a Ennio Fantastichini, morto da un anno, lui che era non mio fratello ma di più, anzi è un vero peccato che uno dei due non fosse una donna altrimenti ci saremmo amati moltissimo, ecco lì ho conosciuto Mirko Capozzoli. Ci siamo annusati. Ha colto la

mia anima, come parlo, come magno, le sfuriate, i vaffanculo, il mio modo di percorrere la vita”, spiega Haber al FQMagazinementre la figlia Celeste gli porge un bicchier d’acqua e in attesa di ricominciare la tournèe di Morte di un commesso viaggiatore a febbraio

2022.

Leggendo la tua biografia mi ha stupito la quantità di rapporti sessuali e sentimentali lunghi, corti, intensi, mosci che hai avuto.


“Le scopate, dai. Se ci guardi bene ci sono solo quelle divertenti, uniche, irripetibili, inaspettate”

Non le hai messe tutte quindi?
“Solo quelle più eclatanti. Ho avuto la fortuna di avere storie, avventure, Comunque ringrazio tutte le donne che ho avuto, tutte sono state importanti: di alcune mi sono innamorato, con altre è stato solo un fatto di carne. Però sono tutte vere, non so

quante sono. Dovrei fare un libro di 500 pagine solo di scopate”

Ti sei fermato solo davanti ad Eva Robin’s. Cito dal libro: “Quella cosa che aveva in mezzo alle gambe mi inquietava”.
“Intanto a me piace la famosa sandrina, ma quando ho incontrato Eva Robin’s, ed erano appena uscite foto sue conturbanti su Playboy, io non avevo mai visto un ermafrodita. Stavamo girando un film a Riccione con Andrea Mingardi e dove esordiva Margherita

Buy, vidi questa ragazza con un corpo meraviglioso e un sex appeal pazzesco. Poco tempo dopo ero a Bologna e la chiamo. Ero attratto da lei ma avevo anche una sorta di timore. Per fare cento metri dall’albergo in centro a casa sua ci ho messo un’ora.

Sono salito, lei mi apre in vestaglia e i dieci minuti in cui l’ho attesa sul divano per poco non scappo. Poi a un certo punto è tornata e mi ha detto Ciao sono Roberto. Lì mi sono sentito liberato”.

Haber in scena “punta sempre alla verità”…
“Cerco sempre di non ingannare gli altri. Voglio sempre essere più vero che nella vita. Ho pagato di persona ogni errore commesso perché ho sempre detto quello che pensavo. Non devo un cazzo a nessuno. Anche se c’è gente che mi ha cambiato la vita

come Pupi Avati o Giovanni VeronesiBernardo Bertolucci dopo avere tagliato le mie scene da Il Conformista mi disse “sono in debito con te”. Fu da ridere, ma anche drammatica. Nel raccontarla non ho caricato niente. È tutto vero”.

Sono veri anche i 300milioni che ti offrirono per condurre Striscia la notizia e che tu snobbasti?
“Quando lo seppero i miei per poco gli venne un infarto. Rifiutai quei soldi che erano tanti. Oddio forse ho un dubbio, non è che erano 30 i milioni? Comunque l’ho fatto perché prediligo i film d’autore, le storie tragicomiche. Stavo facendo un percorso teatrale di un

certo tipo, poi ho fatto anche delle cazzate, ma meglio così. Cosa stavo dicendo? Ecco, volevo mantenermi integro e ho rifiutato quei soldi. All’epoca chi faceva la tv veniva marcato a vita. Paolo Ferrari, uno dei più grandi attori teatrali, fece la pubblicità del

Dash e quando usciva da teatro gli dicevano “ciao Dash”. Anche Calindri con il Cynar, per dire. Se me lo offrissero oggi lo farei, ovvio”.

Estrapolo un’altra fase dal tuo libro: “Tutti pensavano fossi un cocainomane ma ero solo esuberante”.
“Ho avuto anch’io i miei momenti di autodistruzione. Mai sul lavoro però! Un giorno l’ho provata, me la fece provare una collega. I sono talmente prorompente, anche adesso mentre parlo, e la gente pensava che tirassi la coca. Ma non era vero. Perché quando

tiravo mi ingessavo, non riuscivo a parlare, non uscivo di casa. Nelle feste se non lo facevi eri stonato. Tutti che escono ed entrano, che escono ed entrano dal bagno: ma che fanno?

Il poker che ti ha insegnato tua mamma ti è tornato utile nella vita?
“Giocavo a poker quando avevo meno lavoro. Non volevo stare in casa ad attendere telefonate. Così mi distraevo. Il vero giocatore è il perdente. Interpretavo comunque un personaggio e finché reggevo il personaggio durante il poker riuscivo anche a

bleffare, poi mi rompevo il cazzo, mi smarrivo e perdevo, capisci? C’è una partita pazzesca in autogrill con tre camionisti. Mi cagai sotto”.

Facevi sedute al tavolo di poker tra grandi star: ce n’è una con Roberto Benigni, Francesco Nuti e il produttore Gianfranco Piccioli…


“Benigni veniva a vederti (le carte ndr) sempre. A parte che erano tre milioniari in un momento di grande successo. Io non avevo invece niente in banca. Mi pare che quella sera vinsi 500mila lire perché avevo capito che non potevo bleffare. Erano talmente ricchi, loro, che venivano a vedermi sempre. Così giocavo sempre col punto e vinsi”

Perdesti 250mila lire con Carmelo Bene…


“Non avevo un cazzo in mano. Erano tre ore che perdevo. Era l’alba. Lui fa: 50. Io: 250, ma buttando le carte come dire no, non ci vengo a vederti. E lui che era completamente ubriaco, come tutti noi mi fa, dopo una pausa lunghissima, venti secondi (Haber imita Bene

ndr): “cosaa hai dettoo? Li veedoo”. Ma come li vedi, cretino! C’era Gigi Proietti al tavolo con noi, che grande, un pensiero anche per lui, e mi fa: “e che cazzo vuoi fare? Ha detto vedo”. Carmelo mi trattenne la paga per dieci giorni. 25mila lire al giorno. L’idea di perdere con Carmelo è una gioia”.

Gianni Cavina, con cui interpretasti Regalo di Natale, invece ti deve ancora 800mila lire…


“900, prego”.

La tua parte da protagonista in Regalo di Natale nacque oltretutto per caso quando trovasti un parcheggio libero in pieno centro a Roma…


Il talento nel nostro mestiere è fondamentale ma ci vuole un po’ di culo. E quella mattina ebbi del gran culo. Era un periodo difficile. Giravo in auto e in via Cola di Rienzo a Roma con la pioggerella non trovi mai un parcheggio e invece accade il miracolo

proprio sotto l’ufficio di Avati. Pupi era uno che mi faceva un sacco di complimenti ma non mi chiamava mai per lavorare. Ero in crisi, stavo male, ero giù di morale, avevo una cazzimma che mi faceva spaccare il mondo. Insomma, suono e Pupi mi fa

entrare: Haber come mai da queste parti, dice. Io: Pupi te lo dico subito sono molto incazzato. Lui: Ma che ti ho fatto? E io: Mi dici sempre che sono molto bravo, ora dimostramelo, porca puttana! Chiaro, fosse stato un altro mi mandava a quel paese. Pupi

che è persona sensibile ha chiamato il fratello e mi ha detto sei nel mio prossimo film. Mi viene da piangere a ricordarmelo (piange sul serio ndr)”

Hai scritto: “Fossi stata una donna l’avrei data a Giorgio Strehler”…


“Non solo a lui, anche a Marlon Brando. Guarda con Brando glielo avrei anche dato da uomo”.

E Nanni Moretti che ti sottopose ad una partita a tennis per darti una parte?
“Disse con il mio amico Placido (imita Moretti ndr) “Haber ha talento, dovrebbe fare di più”. Era il 1980. Poi un giorno tiro su il telefono ed è lui. “Voglio venirti a vedere a teatro”. Poi venne mi aspettò fuori. Andammo al ristorante e prima di ordinare mi disse: Haber non parlarmi però di calcio e di figa, grazie. Poi facemmo insieme Sogni d’Oro. Io a Nanni voglio bene come a un cugino carnale però non mi chiamò più. Stava sulle sue, era permalosetto, voleva la corte attorno. Dopo un annetto lesse che frequentavo il Torneo Tognazzi di tennis a Torvaianica. Mi incontra in vespa per strada, io ero in motorino e mi sfida a tennis”.

Hai vinto tu?
“Haber se fai due game ti faccio fare cinque pose nel prossimo film – dice lui – e io li faccio e lui comincia a inalberarsi. Se vinci il set ti faccio fare dieci pose. Io vinco il set. Lui va fuori di sé. Se vinci il prossimo fai il coprotagonista e li ho perso perché non sono un tennista ma un attore: non rompa il cazzo”.

Tra l’altro avresti potuto vincere l’Oscar con Vittorio De Sica…
Il grande rammarico della mia vita. La sua segretaria, la signora Alessandrini, mi aveva detto che De Sica stava preparando un film su una famiglia ebraica e che io potevo essere papabile come protagonista. Ringraziai e attesi. Poi conobbi e divenni amico dello

sceneggiatore Salvatore Laurani che mi spiegò che un giorno aveva scritto una sceneggiatura con Zurlini per Il giardino dei Finzi Contini e mi disse che sarei stato perfetto per quel ruolo. Lessi lo script, capii che quel Bruno ero io e allora pensai: è fatta, il cerchio si

chiude. Un altro passo avanti. Laurani è a casa mia. Ero in bagno, torno e trovo Laurani che legge la mia agendina, all’epoca non c’erano i cellulari. Beh, non ha il dito puntato sul numero della segretaria di De Sica? In quell’attimo, davvero credetemi cazzo,

squilla il telefono e Laurani risponde. Non è la Alessandrini? Voleva che andassi da De Sica per quella parte nei Finzi Contini. Immagina come stavo. Entro da De Sica e lui (imita la voce di De Sica ndr): hai una bella faccia, accomodati, stai sereno. Io: grazie

Vittorio, grazie maestro, cazzo ne so. Lui: Volevo offrirti una bellissima parte. Io: sono perfetto per Bruno, ho studiato ogni dialogo, parola. Lui: si però Bassani nel libro lo chiama Celestino. E io: chiamatelo Marroncino o mettetemi le lenti a contatto! De Sica: Oramai ho scelto, lo voglio più delicato, però ho una parte meravigliosa, 11 pose. Ma dissi di no perché non volevo stare sul set con uno che doveva fare la parte che dovevo fare io! Poi hanno pure vinto l’Oscar”

Dieci anni fa su un palco teatrale durante le prove dell’Otello venisti accusato di molestie alla figlia di Gabriele Lavia davanti a trenta persone: com’è finita?


“Che due palle, basta. Alla fine non c’è stata nemmeno una denuncia. Non scherziamo. Mi hanno fatto un male che mi sarei buttato dalla finestra. Ero davanti a trenta persone, dio santo. Stavo sviluppando il mio personaggio, l’Otello. L’unico che mi ha difeso fu un

fonico che non so nemmeno come si chiama, uno che arrivava ore prima e usciva ore dopo di noi. Qualche mese dopo mi chiama al telefono. “Haber, ho visto tutto e tu non c’entri niente, non hai fatto niente”. La gente ha capito. La violenza mi ripugna, ma figuriamoci. Stavo facendo una scena sul palco mica di nascosto in camerino”.