Ed ora, che cosa succede quando si spegne una stella? Il fastidio delle commemorazioni, già. Le parole che rotolano come palle di vetro sul selciato. Senz’anima. Resterà la vita di Diego, anche se è finita, una storia infinita. Tante storie insieme, di grandezza e di cadute, di genio e maledizioni. Il più vicino di tutti al buio dei quadri del Caravaggio nei quali la luce era tutto. La spiegazione di un qualcosa di soprannaturale.
Quanto sa di noia la stucchevole tiritera di quanti hanno messo su quel ridicolo faccia a faccia con Pelé: chi è stato il più grande. Come se le meraviglie che il mondo ci ha donato fossero in competizione tra loro. Tu sei stato Diego e solo Diego. Un ex pelusa che aveva considerato il dono più grande una palla di carta e stracci tenuti insieme con un filo di spago, un bene prezioso che non andava sciupato tra le pozzanghere dei viottoli di Lanus. Imparasti così a palleggiare, in tutti i modi, e quella sfera irregolare non toccava mai terra.
E fu l’inizio di una missione: dare la gioia a chi non l’aveva conosciuta che poche volte o forse mai. Dall’inferno della Boca alle ramblas di Barcellona. Fino ai vicoli di Napoli che hanno ancora altarini in tuo onore e altri ne erigeranno. Le vie strette e scure che divennero più importanti delle zone collinari, quelle cosiddette bene. E i borghesi con la puzza sotto al naso dovettero scendere da lassù e mischiarsi alla plebe nell’esaltazione di un tripudio generale. Di tutti.
Hai unito, Diego, nel nome di un’umiltà che non s’è mai appannata attraverso il vetro smeraldo della ricchezza e della fama. Napoli ti accolse vuota ed in silenzio in quel pomeriggio di calore. Meravigliata ed osannante nella speranza di una rinascita calcistica, almeno quella. E mantenesti la promessa. E ancora oggi a tanti pargoli viene imposto il tuo nome. Un tutt’uno con la sfera di cuoio, un piede solo, la scaltrezza e l’intelligenza del ragazzo di strada.
Doti non comuni, insieme con la più grande: essere un compagno tra i compagni, qualche sfottò magari ma soltanto nella riservatezza di uno spogliatoio o del campo d’allenamento. E leale con gli avversari. Perciò hai vissuto, vivi e vivrai per sempre nei loro ricordi, nelle loro parole sincere, non di circostanza.
Paolino Maldini ha giocato con campioni immensi, eppure se gli chiedevi chi considerava il più grande, ti rispondeva senza pensarci su neppure un istante: Maradona, nessuno come lui, un genio assoluto.
La mia vita professionale fu impreziosita da quel mese che trascorsi con te a Siviglia, nella tarda estate del ’92. Ricominciasti lì una nuova vita. Mi dicevi che ti sentivi come il pelusa della prima volta. Che il calcio per te era la vita. E ripetevi anche, senza che nessuno te l’avesse mai chiesto, che non avevi tradito Napoli.
Che strane sensazioni provai grazie a te: essere considerato il tuo referente, tanto da costringermi a trovare un’uscita secondaria dell’albergo, perché circondato da microfoni, telecamere e taccuini da chi non poteva avvicinarti e voleva sapere di te. Io acquartierato nel centro di Siviglia, Tu trincerato nelle stanze dell’Andalusy Park in attesa della “liberazione” da un vincolo contrattuale.
E cominciasti una nuova avventura fino al mondiale a stelle e strisce, la tua ultima volta. Il tuo palcoscenico naturale. E quella recita d’autore, quella magìa agli inglesi messi in fila come le guardie della regina. Per redimerti da quella mano de Dios. Genio e sregolatezza, tormento ed estasi. Addio Diego, “barillete cosmico”. Unico
Adolfo Mollichelli